Siamo il primo Paese europeo non solo per numero di formaggi tutelati dalle indicazioni d’origine (53 tra Dop, Igp ed Stg) ma anche la n.1 per quelli riconosciuti dallo Stato come Prodotti agroalimentari tradizionali (Pat): ben 497

Un viaggio attraverso i prodotti dell’arte casearia che hanno reso l’Italia la patria dei formaggi d’eccellenza, facendone – come sottolinea con orgoglio Assolatte – il primo Paese europeo non solo per numero di formaggi tutelati dalle indicazioni d’origine (53 tra Dop, Igp ed Stg) ma anche la n.1 per quelli riconosciuti dallo Stato come Prodotti agroalimentari tradizionali (Pat): ben 497.

E’ con questa iniziativa che Assolatte dà il suo doveroso e appassionato contributo all’”Anno del cibo italiano”, che per tutto il 2018 porterà all’attenzione di tutto il mondo i tesori agroalimentari e gastronomici del nostro paese, raccontandoli in tutti i suoi aspetti: dalla qualità delle materie prime all’abilità di chi le trasforma, dalla rappresentazione del cibonell’arte ai paesaggi e alla natura dei territori in cui nascono.

Il viaggio nei tesori dell’arte italiana di trasformare il latte fresco in deliziosi formaggi inizia con questi tre prodotti, ciascuno dei quali esprime e racconta una precisa area geografica della nostra bella Italia.

Scimudin: dalla Lombardia con sapore

Ha un nome curioso ma dall’etimologia chiara perché, in dialetto, significa semplicemente “piccolo formaggio”: pesa, infatti, dai 500 ai 1000 g questa formaggella tipica dell’alta Valtellina, dove ha rappresentato per secoli un alimento fondamentale per le famiglie contadine. Fatto con il latte di mucca e stagionato per circa 30 giorni, lo Scimudin è un formaggio a pasta cruda, molle e con un’occhiatura fine, rivestito da una crosta sottile e morbida, coperta di muffe bianco-grigie. Considerato una vera delizia, per il suo sapore fresco e delicato, lo Scimudin diventa ancora più gustoso se accompagnato con un’altra eccellenza della sua zona d’origine: il miele millefiori della Valtellina.

Pampanella: da Abruzzo e Puglia con passione

Fonti storiche lo documentano già nel 1700, ma la sua origine è sicuramente più antica. E ancora oggi, a secoli di distanza dalla sua nascita, questo latticino fresco continua a essere prodotto come vuole la tradizione. Ossia con latte caprino in Abruzzo e con latte vaccino o misto in Puglia. Il latte viene fatto coagulare e riposare, e poi viene trasferito in recipienti foderati con foglie di fico umide. Una prassi che non solo rassoda la cagliata ma dona anche un sapore lievemente amarognolo e un profumo intenso di fico. Bastano quattro ore di riposo e poi la Pampanella è pronta da assaporare, fresca e rinfrescante, morbida e cremosa, perfetta per trovare refrigerio sulla spiaggia, come si fa da generazioni sulla costa del basso Adriatico grazie ai tanti venditori ambulanti di Pampanella.

Bonassai: dalla Sardegna con orgoglio

Ecco un formaggio con data e luogo di nascita certi: il Bonassai è infatti stato creato oltre 50 anni fa dall’Istituto Zootecnico e Caseario per la Sardegna, e prende nome dalla località della provincia di Sassari in cui ha sede quest’ente. Il Bonassai è nato per valorizzare il latte delle pecoreraccolto dai pastori locali e consentire alle aziende che lo trasformano di ottenerne un formaggio da consumare giovane. Infatti il Bonassai viene fatto stagionare solo per una ventina di giorni: così esprime tutti gli aromi intensi e le sfumature acidule del latte di pecora e si presenta con una pasta morbida e cremosa, dall’occhiatura scarsa e fine e dalla crosta sottile. Rispetto al classico pecorino sardo, il Bonassai si distingue anche per la sua forma, che è quadrata. Ogni forma pesa all’incirca 2 chilogrammi.